Jcosky hats atelier. Photo by Eliza Oanca

Jcosky – Sotto un’infinita pioggia di feltro

November 9, 2022 0 Comments

È una calda e afosissima giornata di Ferragosto e Isacco, un mio caro amico, mi ha chiesto di passare nel suo nuovo laboratorio. È da molto che non scrivo su The Italo Job (leggi l’intervista ad Alessia – Cynara) e approfitto dell’invito per scrivere un pezzo sul suo nuovo progetto Jcosky. Lo studio è all’interno di una villa del diciassettesimo secolo che ha visto più di una vita passare dal suo portone ma al momento solo Isacco occupa una delle tante stanze vuote.

Raggiungo Isacco sotto un caldo asfissiante e anche lo stupendo edificio alle sue spalle sembra avere sete. Qui in Veneto non si registrava una siccità del genere da almeno settant’anni.
Il posto è bellissimo. La villa ed il suo parco sono immersi nella campagna veneta ed il tempo sembra essersi fermato di colpo.
Un abbraccio caldo – Ça va sans dire – con Isacco e via su per le scale. Lui gira la chiave, io apro il cuore all’ascolto.

TIJ: Questa stanza è stupenda ed è piena di vita rispetto alle altre. Forme in legno e metallo spuntano come funghi dal pavimento e un tappeto sgualcito pare un letto di muschio. Mi sembra di essere in un bosco di idee ma un po’ mi sento anche a casa. Spiegaci cosa fai esattamente qui dentro.

I: Qui dentro gioco e modello le emozioni mie. Depongo le paure. Do forma ai vissuti in feltro, fili e libri. Faccio cappelli.

Photo by Eliza Oanca

Photo by Eliza Oanca

Ovviamente è facile razionalizzare a posteriori e andare indietro nel tempo è impossibile. Ma pensandoci bene, profondamente, c’è qualche legame con la tua infanzia in questa tua passione per i cappelli? Ammetterai che la faccenda è un po’ strana…

Ricordo eravamo a Venezia quando mi facesti questa domanda la prima volta. Ti risposi che non ne avevo alba; che del passato non me ne volevo curar. Probabilmente quel giorno la tua curiosità aveva toccato in me qualche spina irritativa che mi fece chiudere a riccio. Ti chiedo scusa per non essermi dedicato: per non essere stato accessibile. Ma ti ringrazio perché nei giorni successivi la tua domanda è stata goccia che ha scavato nella roccia.

Quando ero piccolo mi divertivo a mascherarmi da Zorro. Creavo degli spettacoli improvvisati per i cugini più piccoli. Cappello, mantello e stivali definivano un modo di pensare nuovo. Impersonavo qualcuno che, in qualche modo, mi faceva star bene. Quando “l’abito non fa il Monaco”?. Originavo delle emozioni in me e negli altri. Ne ero grato: ballavamo simultanei in un altro mondo. Una dimensione lontana, ma allo stesso tempo, così permeata nelle relazioni da farne percepire una realtà nostra. Può essere questo il legame tra la mia infanzia e ciò che sto facendo ora. Chi può dirlo, non v’è certezza, ma di sicuro questo è un ricordo vivo.

Photo by Eliza Oanca

photo by Eliza Oanca

E quanto ti aiuta realizzare i tuoi cappelli qui? Immagino che se fossi nel centro di una città sarebbe tutto più semplice, dall’ispirazione per i modelli alla vendita del prodotto finito.

Centrato o decentrato, in piazza o disperso nella campagna; mi sto rendendo conto che, se non v’è in me una narrazione fatta di significati attribuiti ad emozioni e vissuti, allora nessun luogo potrebbe realmente aiutarmi. Mi sto riferendo al fatto di stare bene per poi creare comunità.

Di certo posso dirti che avere l’opportunità di vivere la residenza artistica in Villa X1 è un mistero: a volte mi chiedo piacevolmente cosa ci faccio qui. Svegliarmi circondato dai due giardini popolati di alberi secolari è magnifico. Sorseggiare il caffè affacciato alla finestra e vedervi una leggera coltre di nebbia fluttuare, non ha prezzo. Rievoca in me stimoli immaginativi e pellicole di un mondo che, come dice sempre mio padre, non sembro appartenere. Ogni contesto ovviamente ha le sue insidie, non pensare sgorghi solo oro dalle mie parole. Ciò che sento qui però è puro silenzio monacale. Ho sempre desiderato consacrarmi ad una vita di preghiera, ma temevo gli effetti indesiderati della scelta radicale. Alla fine la vita fa tornar i bei nodi al pettine: possiamo meritarci quel che un tempo non pensavamo. Forse perché semplicemente non era “il tempo”.

Photo by Eliza Oanca

Photo by Eliza Oanca

Per me un cappello vale l’altro. Che differenza c’è tra un tuo prodotto e uno che posso trovare alla bancarella del mercato rionale.

Non c’è differenza. Non è questione di extra umiltà. Mi spiego: ogni mio cappello jcosky porta questo verso “gli idoli delle genti sono oro e argento, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono”. Per me è un monito sempre vivo e presente. Mi ricorda che tutto ciò che costruisco ha un valore temporaneo: sarà destinato a scomparire. Non torneremo noi, tanto meno loro. Per giunta l’oggetto in sé e di per sé non sarà mio idolo o idolo per gli altri. Alla tua domanda, infatti, sarei sollecitato in qualche modo ad elencare le qualità dei materiali, le risorse ecc. Ma il fatto è che i miei cappelli non creano la differenza. Non son meglio o peggio di altri copricapo. Quello che posso dirti è che di certo hanno una loro narrazione. E questa costituisce una connessione tra le sorelle e i fratelli che li vedono. Più o meno come noi due ora. Il resto è intimo e amor segreto.

Una volta in un libro di John Muir ho letto “i venti scrivono le réclame di tutto ciò che toccano, anche se noi non riusciamo a leggerle: i loro profumi raccontano il loro girovagare.” Cosa c’è di tuo quando indosso un tuo cappello? Voglio dire, cosa dovrebbe capire o vorresti che la gente cogliesse di tuo, in ciò che vede sulla mia testa?

Oltre a far cappelli lavoro in una comunità terapeutica riabilitativa protetta. Metà della mia esistenza la dedico alla salute mentale. Mia, si intende, e degli altri, per quanto mi riesce come riabilitatore. L’altra metà della mia vita, invece, la dedico all’involucro della mente. Alla sua estetica. L’una ha bisogno dell’altra. Entrambe si mescolano e si alimentano. Nella nuova linea di cappelli, che ho chiamato “Zaccheo”, il tema della salute mentale è centrale insieme alla curiosità. Santificare il capo significa prendersene cura. Dal suo interno. Non esiste prescrizione salvifica analoga per tutti noi. Può aiutare sapere che siamo già abbastanza. Che siamo benedetti. Che ci meritiamo così, nel nostro “ora” e nella curiosità appunto. A modo nostro. Salendo su rami di sicomoro come fratello Zaccheo. Abbassando pretese e aspettative per una testa già santa e un cappello benedetto. Non so se sto esagerando, ma probabilmente dentro ogni trama di feltro ci sono sospiri e narrazioni di molte donne e uomini coraggiosi che ho il piacere di incontrare e conoscere. Persone che hanno deciso di chiedere aiuto e di non essere sole.

E cos’è che la gente non ha capito di questa avventura? Io sono stato il primo a non farlo in un breve iniziale istante ma poi la tua determinazione mi ha fatto cambiare idea.

Ti ringrazio. Per me conta moltissimo. Si, tanti hanno dissentito quando ho detto loro che volevo cominciare a fare cappelli. Con il senno di poi, penso abbiano avuto tutto il diritto di farlo. Hai scelto la parola “avventura”. Per me tutto questo è sale e profumo di un percorso fatto di incendi, incidenti e ristori. E’ amorevolmente avventura quindi. Sai qual è il midollo di tutto questo? Il supporto e gli aiuti dalle persone che vi sentono risonanza e comunanza. Ho cominciato a fare cappelli perché soffrivo qualcosa: il giudizio degli altri. E sia benedetto ancora una volta Davide Mazzocca, che in tutto questo, quella volta non mi ha giudicato, ma ha accolto ciò che sentivo essere; mi ha incoraggiato a non averne timore. Questa avventura è un rito che si avvicina molto a quel piccolo Isacco che si vestiva da Zorro, con la differenza, però, che qui non tolgo il costume. Non ne ho paura.

A questo punto ti piacerebbe sfruttare questa occasione per dare una risposta ad una domanda che nessuno ti ha mai fatto?

“Qual è stata la sensazione del primo feltro vaporizzato?” Dopo molti cappelli, oggi, ogni volta che ne modello uno, sento lo stesso profumo di quella sera che, timidamente, appoggiai il ferro da stiro sulla cappellina di feltro. Era un lapin nuovo comprato da qualche parte in Inghilterra. Pagato 80 sterline. Ottima mossa direi per iniziare! Ad ogni modo quell’odore di pelo bagnato è stato il profumo più poetico che io abbia mai sentito. Un misto tra l’odore di corridoi dei conventi, il cane tornato dall’umida campagna, il maglione del nonno e l’erba essiccata. Il connubio perfetto per risalire dalle onde pesanti dell’oceano per abbracciare nuovi lidi di benessere.

Ora faccio io una domanda indiscreta. Riesci a viverci o devi conciliare questa passione con un altro lavoro?

No ahimè, o perlomeno non ancora.

La tua più bella e inaspettata vendita?

Avevo da poco pubblicato i primi cappelli nel mio profilo Instagram. Un centinaio di followers, o poco più. Arriva un messaggio da un uomo che vive a Tokyo. Dice di voler comprare DIGNU. Subito non ci credo. Penso sia una fregatura. Noto però che insiste e mi chiede specifiche sui materiali, sul luogo dove faccio i cappelli ecc. Poco dopo visualizzo l’importo. E’ stato il primo pacco ad essere spedito così lontano. In realtà una tra le prime vendite in assoluto. Ricordo ancora il momento in cui sono entrato nell’ufficio per spedire il cappello e di aver avuto un sorriso incredulo

“Devo spedire questo pacco”.

“Dove?”.

“E’ possibile inviarlo a Tokyo?”.

“Certo, ci metterà un po’ però”.

“Quanto più o meno?”.

“Cinque giorni lavorativi.”

“Direi ottimo”.

Poi sono arrivati i negozi e con loro le persone che li gestiscono. Persone che hanno creduto in me dall’inizio e hanno esposto i mie prodotti e continuano a farlo (andate a trovarli!). Non mancherò mai di ringraziare Elena di Void (Treviso) , Alberto di Zizha (Vicenza) , Nicola e Ryan di Vicolo Via Mameli (Milano) e Maria Letizia di Colore Atipico (Ancona)
Qui potrete toccare con mano i miei cappelli e conoscere queste sorelle e fratelli dal cuore gigante.

Ho notato che la tua comunicazione è stranissima. Parlo dei testi sui social. A volte non so se il tuo social media manager è un pastore di qualche congregazione religiosa o un burlone che si diverte a prenderci in giro. Ti aiuta qualcuno su questo o fai tutto da solo?

E’ un’interessantissima osservazione che mi rende a dir poco felice. Grazie. Il “prete” sono io! E se questa è l’oscillazione che provoco in te nel carpire la mia comunicazione ne sono entusiasta! Questa è la mia modalità di stare con le persone. Le chiamo sorelle e fratelli perché così realmente li considero. “Sorelle e fratelli”: queste parole possono far sorridere perché un po’ fanno lo stesso effetto anche a me. Oppure mi capita a volte di concludere alcuni pensieri con un bel “amen”. Ammiro l’istituzione che si è creata tale, ma amo smantellarla a colpi d’ironia e immaginazione. Perché non diffondere l’amore che sento? Mi aiuta a stare meglio con me stesso. Forse anche un modo per essere accettato, perché no. Mi diverte quando esagero in modalità ecclesiastica, mi aiuta ad alleggerire le parole troppo importanti. Mi aiuta a prendermi meno sul serio. Ne ho bisogno.

Photo by Federica Giacomazzi

Photo by Federica Giacomazzi

Anche le immagini vedo che per te hanno una certa importanza. Quanto conta nel tuo progetto questo specifico modo di raccontare con la fotografia?

Tutto! Penso che la fotografia sia più di un mezzo. E’ rappresentazione della narrazione. Aiuta a connettermi con il mondo delle emozioni e giocarci. E’ un cordone ombelicale con l’Altro. La fotografia mi permette di essere regista di quel mondo tanto citato da mio padre.

Collabori con qualcuno? Anche con realtà al di fuori del mondo dei copricapo intendo.

Tantissime realtà stanno incendiando questa avventura. E la cosa più sorprendentemente significativa è che si stanno contaminano con cuori e maree, come te. Ma non solo: Sparrow and snow per l’ecommerce Jcosky. Mattia Maragno nella realizzazione del font “Venetia” e grafiche. Eliza Oanca nella poesia e nella stesura di altre tele. Fiona per la traduzione dei testi. Marta Raimondi per le stampe della collezione “Zaccheo”. Davide Mazzocca per i progetti di 3d design. Giosuè Cadorin per modellare le forme di legno. Pierpaolo Spollon per credere e spingere concretamente la realizzazione delle mie idee. I Mombao per tutta la colonna sonora tra i miei pensieri.

Photo by Eliza Oanca

Photo by Eliza Oanca

Credi che la tua determinazione ti porterà lontano con questo progetto?

Non avrei mai immaginato di arrivare sin qui. A volte rischio di perdermi. Bene o male non lo so. Tempo fa tendevo spesso a non accontentarmi: non bastava nulla. Il porto salpato non lo vedevo minimamente. Ora invece è più visibile e mi aiuta a capire da dove son partito. Prendere consapevolezza dei passi evolutivi. Di quelli che la società neoliberale chiama “fallimenti”, a me aiuta chiamarli opportunità. Favorisce a calmare questa irrequietezza senza fine, senza soddisfazione. Capita più spesso che riesco a dirmi “grazie” o semplicemente un “va bene così”. Suona come un accontentarsi, ma sai cosa? Non sai quanto tempo passo sdraiato sul tappeto del mio atelier. Sorrido guardando i cappelli, le stoffe. Mi basto e di conseguenza le idee e le progettualità non tardano ad arrivare. Senza però la foga o l’esigenza di cambiare il mondo, ma con il gusto di testimonialo e interpretarlo.

“Ora andiamo” – dice Isacco – “sono arrivati gli altri. Vieni andiamo di là in cucina”. Mi chiedo chi siano ed esco da queste quattro mura che non vorrei lasciare mai. Raggiungiamo una piccola ed accogliente dependance. La villa da fuori parla lingue antiche ma quello che ho visto dentro è il futuro. La crisi economica ed una pandemia mondiale, hanno dato energia a questi nuovi talenti che rifiutano le regole del mercato moderno, pur sfruttando a loro vantaggio i mezzi di comunicazione che lo alimentano. Spostano le logiche dei fatturati facili con prodotti di scarsa qualità, verso manufatti artigianali densi di storia, ricerca e passione. Rischiando tutto e con le sole proprie forze.

Eccoli gli altri. Una decina di giovani dagli occhi pieni di vita, qualche vecchio amico che non vedevo da anni ma per la maggior parte visi nuovi. Ragazzi e ragazze con i quali divido delle pizze e bevo dell’ottimo vino. Parliamo di musica e la ascoltiamo. Discutiamo di letteratura e ci scambiamo consigli sui prossimi romanzi da divorare. Scorre una sana energia sotto questo tetto e capisco che tutti sono qui perchè i luoghi si costruiscono con la passione, lo scambio, l’interazione tra individui e Isacco questo l’ha capito. Ha capito che per continuare ha bisogno di Anime che amano attrarsi e condividere. Anche questo sembra far parte del suo progetto e sono convinto che chi si ritroverà un suo cappello tra le mani sentirà tutto questo. Rimbomba improvvisamente il cielo. Tuoni e lampi annunciano una pioggia fortissima che non tarda a scrosciare giù. Finalmente! C’è chi ha paura e curiosa dagli scuri accostati, chi corre in fretta a chiuderne altri. Chi esce a fumare una sigaretta con la testa al riparo e i pensieri sparati nelle nuvole di fumo. Chi come me respira l’odore della pioggia e chi credeva di averlo dimenticato. Chi, e sappiamo chi, sogna di stare per sempre sotto un’infinita pioggia di feltro. A ben guardare tutti sono felici e capisco che senza tutto questo nessun progetto protrebbe esistere davvero. Nessun Luogo. Dopo stasera la villa avrà altre storie bellissime da raccontare. Ci ha custodito come una madre e come tale ci ha dato tutto per navigare in questo mare di pozzanghere. Lasciamo Isacco con un ultimo abbraccio e la speranza che presto vedrà realizzare i suoi sogni.

franky

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